Il conto alla rovescia per dotarsi del Codice identificativo nazionale, obbligatorio da gennaio, per i proprietari di immobili che intendono affittarli per periodi brevi a turisti, è scattato ma le strutture che ne risultano sprovviste e (e per le quali il rischio è una multa che va da un minimo di 800 a un massimo di 8.000 euro) sono ancora moltissime. A rivelarlo è un’analisi realizzata dai responsabili della Fondazione Isscon, l’Istituto studi sul consumo, e dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori, con il contributo dei responsabili del Sunia, proprio per verificare quanti proprietari d’immobili abbiano adottato il codice oltre che per fotografare la situazione in termini di dotazioni di sicurezza degli immobili. Ebbene, su circa mille immobili “controllati” in 10 città campione, gestiti sia da host privati sia da professionisti e presenti sulle principali piattaforme di settore, olo poco più della metà (per l’esattezza il 52 per cento) è risultato in regola. A guidare la graduatoria delle città non “a norma” è Napoli, dove solo per il 32 per cento degli immobili in affitto breve è stato richiesto il Cin, seguita da Firenze (37 per cento), Bologna (48 per cento), Torino (51 per cento), Alghero (53 per cento), Roma (54 per cento), Venezia (57per cento). Lecce e Catania con il 60 per cento. Milano guida invece, con il 67 per cento, la lista delle città più attente a rispettare la nuova norma. Ma il “capitolo sicurezza” ad allargare maggiormente: alla voce” immobili in regola sia con il Cin sia con che i parametri adottato per stabilire quanto “abiti” il pericolo fra le mura degli appartamenti destinati agli affitti brevi, solo l8,5 per cento ha “superato l’esame”. In questo caso la magia nera della classifica è andata a Torino, dove sono risultate completamente a norma solo il 2,2 per cento degli immobili, seguita da Bologna, Napoli e Firenze, con il 5,6 per cento. Catania ha fatto registrare il 6,7 per cento, Lecce il 7,8, Venezia il 10 e Milano il 17,7 preceduta da Roma, la cui “vittoria” con appena il 19 per cento la dice lunga sulla scarsa sicurezza delle case messe a disposizione dei turisti, “industria” che vale oltre 10 miliari di euro l’anno.“E’ assolutamente necessario sottoporre a precisi e severi obblighi i gestori delle strutture ma anche delle piattaforme che mettono in vetrina questo mercato, riportando una vasta parte di questo settore a comportamenti rispettosi delle norme di legge”, è stato l’appello lanciato dai rappresentanti di Fedeconsumatori al Governo che recentemente ha messo al bando le keybox, le scatole lucchettate che contengono le chiavi degli appartamenti per gestire il check-in da remoto introducendo proprio il Cin, codice che viene archiviato nella banca dati delle strutture ricettive, ritenuto però una “misura correttiva” ancora insufficiente dai sindacalisti del Sunia che chiedono norme più efficaci per regolare il settore e soprattutto maggiori controlli. Per richiedere il Codice identificativo nazionale , assegnato assegnato dal ministero del Turismo agli immobili che entrano così a far parte di una banca dati nazionale, è possibile accedere proprio alla piattaforma de.lla Banca dati nazionale delle strutture ricettive (Bdsr), cliccando su bdsr.ministeroturismo.gov.it e utilizzando lo Spid o la carta d’Identità elettronica.