Sempre più immobili tappezzati di annunci “vendesi”, che sembrano moltiplicarsi di giorno in giorno. Sono la “spia” di un mercato immobiliare dove sempre più proprietari sono “in riserva” di contante e dunque costretti a vendere o, meglio, a svendere? Leggendo le più recenti analisi (e le previsioni) realizzate dagli esperti delle principali associazioni di agenti immobiliari non si trova una risposta a questa domanda: la maggior parte dei commenti si limita infatti a parlare di una ripresa delle compravendite, confermata anche per il 2019 (con un traguardo posto attorno alle quota 580 mila operazioni immobiliari, circa 20mila in più rispetto a quelle del 2018 e quasi 200mila rispetto alle 390 mila scarse dell’annus horribilis del mattone, il 2013, quando si toccò il fondo) e per il 2020 (quando le transazioni dovrebbero sfiorare , sempre secondo le previsioni, quota 600mila), senza però evidenziare troppo come a spingere quell’aumento dei volumi di transazioni ci sia quasi esclusivamente il crollo dei prezzi, di gran lunga inferiori rispetto a quelli di pochi anni fa. Crolli che spessissimo hanno riguardato le prime case, ovvero il frutto del lavoro di una vita messo sul mercato da migliaia di famiglie per colpa di una crisi che la situazione politica attuale non sembra affatto in grado di fermare. Svendite, dunque, più che compravendite, favorite dai valori immobiliari che, eccettuato qualche caso, continuano peraltro la loro discesa, soprattutto nei centri minori, contrariamente a quanto accade in molti altri Paesi d’Europa dove invece il mercato immobiliare ha ricominciato a muoversi già da qualche anno. Una situazione aggravata, per di più, dal considerevole numero di immobili finiti all’asta (perché chi aveva sottoscritto il mutuo non è stato più in grado di far fronte), fattore che con contribuissce certo a far rialzare o quantomeno a stabilizzare i prezzi sul mercato. Lasciando spalancate le porte a una facile previsione: con uno scenario che vede un’offerta di immobili ben più alta della domanda, c’è il rischio di un’ulteriore contrazione dei valori, a tutto vantaggio degli acquirenti, facendo sì che sempre più i prezzi siano determinati da questi ultimi, con i venditori “in difficoltà” costretti ad accettare le condizioni imposte. Cinque anni fa un’analisi delle compravendite “viste” dal lato del venditore, aveva evidenziato come la maggior parte delle persone avesse venduto per migliorare la qualità abitativa (44,5 per cento dei casi), seguiti da coloro che avevano venduto per reperire liquidità (39,9 per cento): un anno prima i risultati erano ben diversi, con la vendita per migliorare la qualità abitativa che superava il 55 per cento del totale, mentre la percentuale di chi aveva venduto per reperire liquidità era “solo” del 26,6 per cento. Oggi un sondaggio analogo che risultati darebbe? Analizzare nuovi dati potrebbe aiutare a comprendere meglio le “ragioni” dietro le quinte dell’andamento del mercato immobiliare, magari evidenziando proprio che il puro e semplice aumento delle transazioni, dato comunque positivo, non mostra però sempre come “tutto oro quel che luccica”. O , magari, potrebbe evidenziare che anche dietro la diminuzione dei tempi di vendita, vista più o meno da tutti come una conferma del trend positivo, forse ha, a sua volta un’altra chiave di lettura. Come per esempio la fretta, da parte di chi non può più sostenere le spese per la casa, di monetizzare. I tempi di vendita dovrebbero ridursi ancora, come annuncia qualcuno con toni quasi trionfalistici? Potrebbe non essere un bel sintomo… Potrebbe per esempio solo significare che una lunghissima crisi economica (e una politica che ci ha messo del suo per sgretolare il mattone) hanno fatto svanire per moltissimi quello che è sempre stato uno dei più grandi sogni degli italiani: possedere una casa.